«Chi mangia deve rendersi conto che l’atto di mangiare non può che aver luogo nel mondo, che è inevitabilmente un atto agricolo, e che il modo in cui mangiamo determina in misura rilevante l’utilizzo che facciamo del mondo»
W. Berry [1]
Dalla verdura alla pasta, dalla cosmesi ai detersivi, passando per tè, caffè, carta e articoli per la conservazione del cibo. Questi e molti altri sono i prodotti disponibili da Camilla, emporio di comunità, la prima foodcoop italiana.
Ma che cos’è una foodcoop? Come funziona? Per capirlo, siamo andati a Bologna per incontrare Giovanni Notarangelo, socio di Camilla e membro del GAS (Gruppo d’Acquisto Solidale) [2] che ha dato avvio al progetto, e fargli qualche domanda.
Com’è nata l’idea di creare una foodcoop?
L’idea è nata all’interno di un GAS di Bologna, il GASBo, che da qualche tempo non faceva passi in avanti in termini di partecipazione. Ad un certo punto, un gruppo di persone del GAS, insieme a Campi Aperti, una rete di produttori di cibo biologico, ha iniziato ad accarezzare l’idea di avviare una foodcoop. Le foodcoop sono cooperative autogestite in cui si può acquistare solo se si è soci e se si contribuisce al funzionamento della cooperativa con almeno un turno di 2h45min ogni quattro settimane.
La prima foodcoop, quella di Park Slope, è nata a New York nel 1973, ma abbiamo visto che c’erano realtà simili anche in Europa, soprattutto in Francia e in Belgio.
Il modello delle foodcoop ci attirava molto, perché si basa sulla partecipazione diretta delle persone, e ci sembrava replicabile. Quindi l’abbiamo preso e l’abbiamo portato qui. Quanto tempo è durata la fase di progettazione?
Abbiamo iniziato a progettarlo nel 2016. Poi, quando ci siamo decisi, abbiamo fatto un percorso, secondo me bellissimo, di circa un anno, parlando del progetto in assemblee e incontri in giro per la città. Bologna è un tutt’uno, anche chi abita dall’altra parte della città un sostegno lo può dare. Abbiamo capito che c’erano alcune centinaia di persone interessate, che cercavano un rapporto diverso con ciò che acquistavano, e a cui faceva piacere sostenere il progetto con le famose 2h45min di servizio.
Abbiamo quindi scelto di creare una cooperativa di consumo. La forma della cooperativa era funzionale a ciò che volevamo fare, sia in senso operativo, sia in senso ideale, perché si basa sul mutualismo, cioè sullo scambio tra cooperativa e soci, che in questo caso si esplicita proprio così: tu fai il turno e la cooperativa ti dà la possibilità di acquistare i prodotti.
L’emporio ha aperto nel 2019 e conta, ad oggi, circa 600 soci.
Come si diventa soci di Camilla?
Per diventare soci, occorre pagare una quota una tantum di 125 euro. Una volta diventati soci, si è parte di Camilla: si inizia ad acquistare e a prestare servizio. I soci possono anche scegliere di aderire ad uno o più gruppi di lavoro, a seconda delle loro competenze e interessi, come quello sui prodotti, sull’amministrazione o sulla comunicazione.
Perché scegliere di associarsi a Camilla?
Ovviamente non potremmo mai competere con i prezzi degli altri supermercati. Chi viene qui vuole sostenere un progetto, un’idea di consumo diversa, che è anche un modo di fare politica, cioè di sostenere determinati progetti e iniziative. La nostra, o meglio quella di questo modello, è una doppia scommessa: di consumo e di lavoro politico.
Chi sono i produttori da cui si rifornisce Camilla?
Molti produttori sono quelli a cui ci appoggiavamo come GAS, altri sono della rete Campi Aperti, altri ancora si sono aggiunti dopo. In generale, scegliamo produttori da agricoltura biologica, certificata o non certificata – perché c’è la conoscenza diretta – e preferibilmente piccoli produttori.
Il criterio del biologico può cadere in alcuni casi specifici, come quando decidiamo di sostenere un progetto che ha un particolare valore sociale, come quello del caffè Tatawelo del Chiapas, in Messico. Poi, soprattutto per i prodotti freschi, la componente locale è dominante: cerchiamo di acquistare prodotti del nostro territorio, supportando le realtà a noi vicine.
Oltre a ciò, nei nostri scaffali puoi trovare anche prodotti fairtrade, perché abbiamo una relazione privilegiata con una cooperativa di Bologna, ExAequo, che gestisce una Bottega equosolidale: noi compriamo dei prodotti da loro e li rivendiamo, e loro fanno lo stesso con alcuni dei nostri prodotti, rivendendoli in Bottega oppure usandoli per il catering. È una forma di collaborazione e sostegno reciproco.
Un altro aspetto interessante dei nostri prodotti è il prezzo trasparente. Tutti i mesi inviamo ai soci il dettaglio del ricarico effettivo mediamente applicato ai prodotti, in modo che possano calcolare quanto viene dato, in media, al produttore e quanto è trattenuto dalla cooperativa per le spese di gestione. Questi contributi servono anche a pagare i due dipendenti part-time che si occupano di programmare e gestire gli ordini.
Quali progetti per il futuro?
A breve dovrebbe partire l’iniziativa “Ti porto la spesa!”. Si tratta di un’iniziativa autogestita dai soci, che si basa sull’aiuto reciproco delle persone che vivono in aree vicine nel fare la spesa.
Più avanti, ci piacerebbe creare un piccolo laboratorio di trasformazione dei prodotti, soprattutto del fresco. Infine, un’altra idea che abbiamo in cantiere è quella di organizzare una logistica integrata delle diverse realtà di consumo del cibo della città, anche pubbliche, come le mense scolastiche, che potrebbero così utilizzare nella preparazione prodotti di qualità del territorio, “chiudendo il cerchio”.
Dal racconto di Giovanni, sembra che Camilla si inserisca a pieno titolo nelle esperienze di economia di prossimità. Nella cooperativa il concetto di prossimità assume diverse declinazioni, attraversando sia la dimensione economica, sia quella sociale. Dal punto di vista economico, Camilla sostiene i produttori biologici del territorio e anche la cooperativa ExAequo, dalla quale riceve a propria volta un supporto. Il sostegno a queste realtà ha importanti risvolti sociali, ma anche ambientali, di salvaguardia del territorio – grazie alla scelta del biologico. Inoltre, vi è tra i soci una prossimità sociale, che si declina in modalità di coinvolgimento attivo, partecipazione, progetti di aiuto reciproco.
Esperienze come Camilla costituiscono un’occasione per riflettere sul rapporto con gli oggetti che acquistiamo, con coloro che li producono, con gli spazi che abitiamo e le persone che li animano.
Una breve postilla per i nerd del consumo sostenibile: Camilla non è l’unica foodcoop in Italia. Negli ultimi due anni, ne sono nate altre tre: OLTREFood a Parma, Stadera Coop a Ravenna e Mesa Noa, a Cagliari.
Di Cecilia Cornaggia
Fonti [1] Berry, W. (2015). Mangiare è un atto agricolo. Torino: Lindeau. [2] I Gruppi d’Acquisto Solidale (GAS) sono gruppi di persone che si organizzano per fare insieme la spesa da alcuni produttori, selezionandoli sulla base di criteri etici e di solidarietà sociale (cfr. Documento Base dei GAS, 1998. Reperibile al seguente link: https://www.economiasolidale.net/content/documento-base-dei-gas Intervista a Giovanni Notarangelo, Camilla.
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