L’emergenza che stiamo vivendo ci sta mettendo di fronte a delle domande alle quali fino a poche settimane fa davamo altre risposte, banali, superficiali, miopi.
Costretti a fermarci o a rallentare, ricominciamo a riflettere su concetti, abitudini e dinamiche consolidate, pur essendo dannose.
“In ufficio si raggiungono i risultati. Chi mi garantisce che da casa lavori?”
Il telelavoro forzato ci dimostra quanto molte organizzazioni e persone non siano pronte a gestirlo: mancano gli strumenti per abilitare lo smartworking, mancano competenze, manca la fiducia e la flessibilità nei confronti dei lavoratori. Questa emergenza ci sta obbligando, per fortuna, a compiere progressi tecnologici e culturali accelerati verso modelli più agili di gestione delle organizzazioni.
“Questo è un negozio di quartiere, a che ci serve l’e-commerce?”
Ora che il digitale è diventato l’unica via percorribile per tenere alzate le saracinesche, si corre ai ripari: ecco che arriva la rivincita di quei piccoli commercianti che avevano ascoltato i clienti e investito per tempo, affiancando al prodotto il servizio.
“Abbiamo una posizione consolidata da anni, perché dovremmo cambiare?”
La flessibilità nell’adattarsi a quello che il mercato chiede paga, soprattutto se la si abbina ad un senso di responsabilità nuovo nei confronti degli altri, cittadini e lavoratori. Date un’occhiata alla straordinaria riconversione di tante aziende italiane che, grazie a questi due fattori, contribuiscono a fronteggiare l’emergenza sanitaria e a garantire il privilegio del lavoro a tanti professionisti.
Imprese tessili come Almatex e Calze Ileana e cooperative sociali ora producono mascherine, il mondo Wine&Spirits realizza gel disinfettante con l’alcol a disposizione (come il brand Ramazzotti del Gruppo Pernod-Ricard o la storica Casoni Fabbricazione Liquori di Finale Emilia). Stesso vale per la cosmesi, capitanata da Davines, B Corp di Parma che ha confezionato il “Gel del buon auspicio” per i caregivers e la propria supply chain. Ciliegina sulla torta, Cristian Fracassi che stampa in 3D centinaia di valvole per respiratori salvavita col supporto di Massimo Temporelli e Decathlon.
“Se non agiscono ai piani alti, perché dovrei intervenire io?”
Non c’è più posto per egoismi e ruoli: oggi la responsabilità di agire è di tutti. Non incontrare i propri cari diventa un atto d’amore, organizzare un concerto sul balcone per i vicini regala sorrisi e fa sentire meno soli, mettere a disposizione le proprie competenze fa crescere il sistema e dare valore agli altri.
Lo spunto più forte che vorrei dare mi è arrivato da una persona apparentemente distante dal mondo imprenditoriale, ma molto vicina a quello degli individui. Si tratta di Federico Paino, vicepresidente e responsabile organizzativo del Centro HETA, specializzato nel trattamento del disagio psichico.
Secondo Paino, “Tutte le emergenze hanno una caratteristica in comune: ti dispensano da ogni responsabilità, dal peso di dover scegliere”. Quanti di noi, tra un tot di mesi, giustificheranno, più o meno consapevolmente, le proprie scelte con la scusa dell’emergenza? Molte aziende riprenderanno a lavorare come hanno sempre fatto, senza aggiornarsi o ridurre gli impatti negativi che hanno sui dipendenti o l’ambiente. Alcune persone potrebbero avviare o interrompere relazioni, gravidanze o rapporti di lavoro, sulla scia di un momento di amplificazione delle sensazioni ed emozioni dovute all’isolamento.
Quanto sarebbe più utile e sano, invece, se prendessimo questa emergenza come occasione per riprendere contatto con la realtà? Un risveglio delle coscienze che porti a riflettere sulle scelte fatte finora e sugli impatti che hanno generato. “Le persone - prosegue Paino - sono la vera forza dell’impresa: gli imprenditori non possono non tenere conto delle situazioni contingenti vissute da ogni collaboratore. Tale scelta potrebbe rivelarsi indelicata nei confronti delle persone e miope verso la stabilità dell’organizzazione nel suo complesso.”
Non siamo miopi questa volta, ma approfittiamo per migliorare noi stessi e gli ecosistemi in cui viviamo e operiamo, in maniera più consapevole e responsabile. E quando potremo tornare là fuori ad abitare questo mondo, ricordiamoci che siamo degli ospiti.
*** “Coronavirus e sostenibilità”: articolo n°4 ***
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