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I "Workers buyout" al servizio dello sviluppo sostenibile


È nella crisi che emerge il meglio di noi, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze.” (A. Einstein, Il mondo come io lo vedo, 1931).

Il pensiero di Einstein, seppur lontano cronologicamente parlando, è sempre molto attuale: le crisi infatti, economiche e non, sono un possibile volano per il cambiamento e l’innovazione. Un esempio lampante di rinascita post-crisi è rappresentato dal fenomeno dei “Workers buyout” (WBO) che esprime a pieno la voglia di rivalsa propria dei dipendenti di imprese italiane, di lontana fondazione i quali, dinanzi alle difficoltà legate agli assetti organizzativi, all’incapacità di superare indenni la crisi economica del paese o all’incapacità di competere in un mercato sempre più dai contorni indefiniti, non perdono le speranze e si mettono in gioco, facendosi carico del relativo rischio di impresa e, nella maggior parte dei casi, investendo risorse finanziarie proprie.

Per Workers buyout si intende “una operazione di acquisizione del capitale di un’impresa - priva di un successore, a rischio fallimento o di bancarotta - da parte dei dipendenti della stessa” (Cataudella, 2016), i quali, al fine di affrontare tale spesa, generalmente costituiscono una cooperativa di produzione e lavoro. Il ricorso a tale strumento, partecipato e generato dal basso, è stato promosso dall’adozione della Legge Marcora (149/1985), modificata nel 2001, che rappresenta ad oggi una delle più efficaci politiche industriali in materia. La sottoscrizione del capitale avviene con i risparmi personali, l’indennità di disoccupazione o l’anticipo della cassa integrazione, però questi futuri imprenditori possono beneficiare di una serie di finanziamenti erogati, ad esempio, da: gli istituti di credito (es. Banca Etica); la Cooperazione Finanza Impresa (CIF) che si interessa anche dell’analisi di fattibilità; le tre principali Centrali Cooperative mediante l’istituzione di fondi mutualistici (Coopfond, Fondosviluppo e General Fond) e le Regioni, che hanno istituito dei fondi rotativi ad hoc.

Dal 1985 ad oggi si stima siano stati costituiti ben 382 WBO che garantiscono 15.450 posti di lavoro, generalmente PMI operanti per la maggior parte nel manifatturiero. Interessante, inoltre, sottolineare che, oltre alla salvaguardia dei livelli occupazionali, tale strumento contribuisce allo sviluppo sostenibile dell’economia e della società (Caragnano, Caruso, 2010). Infatti, analizzando tale fenomeno nell’ottica dell’Agenda 2030, questo consentirebbe di perseguire diversi e cruciali SDGs per l’economia del Paese quali: l’8 (Lavoro dignitoso e crescita economica), il 9 (Industria, Innovazione e Infrastrutture), l’11 (Città e comunità sostenibili) e il 17 (Partnership per gli obiettivi), perché, come è stato precedentemente sottolineato, grazie anche al sostegno dello Stato e di enti terzi che i dipendenti possono rilanciare le aziende. Si tratta quindi di un’operazione in grado di generare circoli virtuosi e un forte impatto sociale, sia sul territorio che ospita la realtà imprenditoriale rinata e sia sull’Italia nel suo complesso, consentendo da un lato la tutela del patrimonio culturale italiano, del “Made in Italy” (es. Art Lining, azienda nota per gli interni delle cravatte) e quindi garantendo la salvaguardia del know-how e da un altro la dispersione di competenze artigianali, riportando a nuova e miglior vita le PMI, che costituiscono la maggior parte del tessuto societario italiano, consentendo loro di competere anche al di là dei confini nazionali.

Si auspica, in futuro, una maggiore attenzione anche mediatica su tale fenomeno perché questo è un esempio del forte legame che si viene a costituire tra azienda/datore di lavoro e dipendenti.



Fonti:

Cataudella M.C. (2016), Workers’ Buyout e soci lavoratori di cooperativa.

Demartini P., Monni S. (2017), Workers’ buyout corporate governance e sistemi di controllo. Roma Tre -press.

Caragnano R., Caruso G. (2010), ESOP: natura giuridica e potenzialità dello strumento partecipativo.

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